Oggi, nel mercato del lavoro americano, a svolgere quel ruolo di sentinelle non sono più gli uccellini gialli, ma i giovani, in particolare quelli della Generazione Z. È questa la metafora che i ricercatori della Stanford University, Erik Brynjolfsson, Bharat Chandar e Ruyu Chen, hanno scelto per descrivere il nuovo scenario nel loro studio «Canaries in the Coal Mine? Generative AI and the Future of Work for Early-Career Professionals». Una ricerca che si discosta finalmente dalle previsioni teoriche e dalle simulazioni statistiche che hanno alimentato finora il dibattito sull’Intelligenza artificiale. Gli autori non si sono limitati a stimare cosa potrebbe accadere: hanno analizzato milioni di cedolini salariali del mercato del lavoro statunitense, osservando cosa sta già accadendo. E i dati non lasciano spazio all’ottimismo: la sostituzione è in corso e colpisce soprattutto i giovani fra i 22 e i 25 anni, quelli che si affacciano per la prima volta al lavoro qualificato.
Gli algoritmi generativi
Negli Stati Uniti, i cosiddetti entry-level, cioè i ruoli junior – analisti, copywriter, addetti marketing, consulenti alle prime esperienze – sono i più esposti. Le attività ripetitive, standardizzabili o basate su testi e dati vengono sempre più affidate agli algoritmi generativi. L’Intelligenza artificiale, insomma, non sta cancellando il lavoro umano in blocco, ma ne sta riscrivendo le gerarchie: riduce le porte d’ingresso e alza l’asticella delle competenze necessarie per entrare.
Le abilità relazionali premiano
In tanta negatività, uno spiraglio comunque s’intravede. Infatti, lo studio della Stanford University mostra anche che chi possiede abilità relazionali, analitiche e comunicative continua a essere richiesto e valorizzato. L’IA non sostituisce il talento umano, lo seleziona: chi sa interpretare, collaborare e dare senso alle informazioni resta indispensabile. In Italia questo scenario è ancora in arrivo, ma si avvicina rapidamente. E rischia di innestarsi su un terreno già fragile. Secondo il Rapporto dell’Osservatorio Delta Index, solo un’azienda su dieci offre percorsi di onboarding strutturati, e oltre la metà non possiede una mappatura chiara delle competenze necessarie ai diversi ruoli. Se l’Intelligenza artificiale generativa cambierà i mestieri, questo vuoto formativo potrebbe diventare un fossato. La lezione americana, invece, offre già tre direzioni concrete: formazione continua per i giovani, incentivi alle imprese che li assumono e monitoraggio costante dell’impatto dell’IA per fasce d’età e settori produttivi. Solo conoscendo dove e come l’automazione incide, sarà possibile costruire interventi tempestivi e mirati.
L’Italia, questa volta, ha il vantaggio del tempo. Anche se è poco, pochissimo, può osservare l’esperienza americana e scegliere se restare a guardare o attrezzarsi. Perché la vera sfida non è fermare l’Intelligenza artificiale, ma preparare chi dovrà viverla per primo. E trasformare un rischio in un’opportunità di crescita generazionale.