“Accetto, ho letto e compreso”. Tre parole che ogni giorno milioni di giovani cliccano senza pensarci. Ma cosa succede quando quel clic riguarda un contratto di lavoro? L’analfabetismo giuridico è un problema dilagante
Una delle più gravi forme di esclusione evitabile
Accade spesso di lamentarci di determinate situazioni lavorative, senza renderci conto che avremmo la possibilità, e il diritto, di cambiarle. L’analfabetismo giuridico, inteso come scarsa conoscenza delle regole che disciplinano il lavoro, i contratti, le tutele e la rappresentanza, è ormai una delle più gravi forme di esclusione invisibile. Eppure, quasi nessuno ne parla.
Troppi NEET secondo Eurostat
Secondo Eurostat, nel 2023 il 16,1% dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni è NEET, ovvero nor studia, non lavora e non si forma. E la terza percentuale più alta in Europa, dopo Romania e Grecia, e ben superiore alla media UE dell’11,2%. Dati peggiorati negli ultimi anni e che riflettono non solo un problema di accesso al lavoro, ma anche una distanza strutturale dal mondo dei diritti che regolano quell’accesso. A peggiorare il quadro è il livello di analfabetismo funzionale, ovvero l’incapacità di comprendere e utilizzare informazioni basilari nella vita quotidiana, come quelle contenute in un contratto. L’Ocse stima che in Italia il 28% degli adulti rientri in questa categoria.
Un problema che riguarda anche chi lavora
Una condizione che si traduce, in ambito lavorativo, nell’incapacità di leggere una busta paga, interpretare una clausola contrattuale o comprendere la differenza tra un contratto a termine e una collaborazione parasubordinata. Il problema riguarda anche chi studia. Secondo Almalaurea infatti, nel 2023 il 33,5% dei laureati italiani ha conseguito il titolo senza aver mai avuto un’esperienza lavorativa. Anche tra coloro che lavorano durante gli studi, solo il 6,4% ha un impiego stabile. Si tratta per lo più di esperienze precarie, poco tutelate e raramente accompagnate da percorsi di orientamento o formazione sui diritti del lavoro. Eppure, la consapevolezza giuridica è una delle condizioni fondamentali per costruire una cittadinanza attiva e un’occupabilità duratura. L’analfabetismo giuridico, al contrario, alimenta accettazione passiva di condizioni sfavorevoli, lavoro grigio o nero, rinuncia al ricorso in caso di irregolarità.
L’Osservatorio Delta Index, che da anni analizza il rapporto tra giovani e lavoro in Italia, lo conferma: l’attrattività di un’azienda non dipende solo da salario e benefit, ma anche dalla capacità di offrire chiarezza, tutela e fiducia. E questa fiducia inizia dalla formazione.
Il contributo di Marco Carlomagno
Ad approfondire il tema è Marco Carlomagno, segretario generale della FLP (Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche) e della CSE (Confederazione Indipendente Sindacati Europei), che da anni osserva da vicino le conseguenze dell’analfabetismo giuridico tanto ne settore pubblico quanto in quello privato.
Secondo Carlomagno, «una generazione che entra nel mercato del lavoro senza strumenti minimi di comprensione delle regole rischia di essere non solo struttata, ma anche silenziata». Senza conoscenze di base, il lavoratore non è in grado di difendersi né di rivendicare. «E come entrare in campo con le mani legate», afferma. L’ignoranza giuridica diventa così funzionale a un mercato fondato sulla disuguaglianza e la precarietà, che alimenta rassegnazione e inibisce qualsiasi forma di partecipazione attiva.
Ma di chi è la responsabilità? Carlomagno non ha dubbi: «Tutti, senza eccezioni, e senza rimpalli.
Il ruolo dello Stato
Ma è lo Stato, in primis, a dover garantire che l’educazione ai diritti diventi un pilastro della formazione civica, fin dalle scuole superiori». In questo patto educativo dovrebbero essere coinvolti anche i sindacati e le aziende. «Le aziende dovrebbero smettere di considerare la consapevolezza dei lavoratori come una minaccia e iniziare a vederla come un’opportunità di trasparenza e fiducia».
Un linguaggio troppo tecnico
L’analfabetismo giuridico é dovuto anche ad un problema che riguarda il linguaggio, spesso tecnico, astratto e poco accessibile. «Un diritto incomprensibile è un diritto negato», denuncia Carlomagno. E invita sindacati, istituzioni e aziende a fare un salto di qualità comunicativa, rendendosi «più leggibili, più accessibili, più vicini alle domande reali delle persone». Contratti atipici non spiegati, incarichi sottopagati, nessuna formazione preventiva: pratiche che finiscono per normalizzare lo sfruttamento. «Chi teme la consapevolezza dei giovani, forse ha qualcosa da nascondere», conclude.
Perciò diventa sempre più urgente un investimento strutturale nella formazione giuridica di base: non solo nelle università, ma fin dalle scuole secondarie. Introdurre nozioni semplici – cosa significa firmare un contratto, come leggere una busta paga, quali sono i diritti di un lavoratore – potrebbe avere un impatto duraturo su milioni di giovani che oggi si affacciano al lavoro come a una giungla senza regole.
‹ Non puoi difendere i tuoi diritti, se non sai nemmeno di averli». E questo il punto da cui dovremmo ripartire.