Smart Working, il desiderio di molti
Ognuno di noi, almeno una volta, ha desiderato di potersi svegliare al mare, fare colazione in spiaggia e iniziare la giornata lavorativa all’aria aperta, senza traffico da affrontare. Lo smart working sta trasformando questo desiderio in possibilità concreta e rappresenta per una buona parte dei lavoratori un diritto quasi imprescindibile, un requisito essenziale nella scelta del proprio lavoro. Ma se per la Gen Z (18-28 anni) questa modalità è sinonimo di equilibrio, autonomia e sostenibilità, per altre fasce d’età è ancora un territorio incerto e ostile.
La ricerca Sustainable Smart Working
Lo conferma la nuova ricerca Sustainable Smart Working dell’Osservatorio della Fondazione per la Sostenibilità Digitale, che analizza le percezioni di quattro generazioni, dalla Gen Z ai Baby Boomer, sul rapporto tra lavoro a distanza, transizione ecologica e digitale. I risultati parlano chiaro: i giovani sono i più convinti sostenitori del lavoro ibrido, mentre le generazioni più mature faticano ad adattarsi, soprattutto sul piano tecnologico.
Smart Working, un passo verso un futuro verde
Per il 76% degli italiani lo smart working riduce l’impatto ambientale, grazie al minor uso dell’auto e agli spostamenti ridotti. Ma se il 28% della Gen Z e il 26% dei Millennial (29-44 anni) sono pienamente convinti di questo vantaggio e molto attenti ai temi ambientali, l’entusiasmo si affievolisce tra i Baby Boomer (61-75 anni) dove solo il 15% è d’accordo. Una distanza che si ripete su molti fronti: equilibrio vita-lavoro, parità di genere, produttività. Per la Generazione Z e i Millennial, il lavoro da remoto è anche una leva di benessere. Infatti, 70% degli intervistati sostiene che lo smart working migliori il work-life balance, con picchi tra i più giovani: il 25% ne è pienamente convinto. All’opposto, solo il 14% dei Boomer condivide con decisione questa visione.
Smart Working e parità di genere
Stesso schema sul fronte della parità di genere: il 74% degli italiani riconosce il potenziale del lavoro a distanza nel riequilibrare i carichi familiari, ma solo il 10% dei Boomer lo considera un vantaggio concreto per le donne. Tra i Millennial si sale al 20%, segno che la sensibilità al tema si rafforza tra le generazioni cresciute in contesti più digitalizzati e in nuclei familiari con ruoli meno rigidi.
«Lo smart working non può essere un privilegio di pochi, ma deve diventare una risorsa accessibile, sostenibile e centrata sulle persone. Solo così potremo costruire un futuro del lavoro equo, produttivo e resiliente»
Lo Smart Working graduale
Inoltre, se è vero che lo smart working è ormai percepito dalla Generazione Z come un diritto e un requisito essenziale nella scelta di un lavoro, è altrettanto vero che per i giovani appena assunti il lavoro da remoto non può essere la modalità prevalente fin da subito. Secondo l’esperienza maturata dall’Osservatorio Delta Index, che dialoga quotidianamente con centinaia di aziende – grandi gruppi e PMI – la fase di inserimento in azienda richiede una presenza costante e guidata, che permetta ai giovani di: assorbire i valori aziendali, comprendere dinamiche e organizzazione interna, costruire relazioni di fiducia con colleghi e superiori, sperimentare e apprendere in modo concreto. In questa fase, la relazione è lo strumento formativo più potente.
Smart Working secondo la Gen Z
Il confronto quotidiano, lo scambio informale, l’osservazione diretta del comportamento organizzativo sono elementi fondamentali per sviluppare quel senso di appartenenza che poi rende possibile lavorare anche da remoto senza disconnessione valoriale o isolamento emotivo. Per questo il vero modello di smart working che funziona – specie per la Gen Z – non è solo flessibile, ma progressivo: parte dalla presenza e si apre gradualmente all’ibrido, seguendo ritmi di apprendimento e autonomia del singolo. Sottolineare questa esigenza non significa negare i vantaggi dello smart working, ma renderli davvero sostenibili. È il modopiù efficace per evitare che il lavoro da remoto diventi una scorciatoia individuale e un ostacolo alla costruzione di un’identità professionale solida. Perché il rischio è proprio che lo smart working, da opportunità trasversale, si trasformi in uno strumento elitario.
L’intervento di Stefano Epifani
Lo afferma con chiarezza anche Stefano Epifani, presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale «Lo smart working non può essere un privilegio di pochi, ma deve diventare una risorsa accessibile, sostenibile e centrata sulle persone. Solo così potremo costruire un futuro del lavoro equo, produttivo e resiliente». Affinché ciò accada, però, bisogna colmare una doppia frattura: culturale e tecnologica.
Il ruolo di Delta Index
In questo scenario, il ruolo dell’Osservatorio Delta Index è favorire un dialogo reale tra imprese e nuove generazioni, raccontando come cambia l’attrattività aziendale agli occhi della Gen Z e quali sfide culturali, contrattuali e organizzative si pongono per chi vuole attrarre e trattenere i giovani più competenti e consapevoli. La ricerca Sustainable Smart Working è un campanello d’allarme per le imprese: ignorare le aspettative delle nuove generazioni sul lavoro agile significa rischiare di perderle. E i dati lo confermano: per il 75% della Gen Z e il 76% dei Millennial, lo smart working migliora la produttività. Ma attenzione all’effetto boomerang: il 66% degli intervistati si sente isolato nel lavoro da remoto, con punte del 71% tra i Millennial. La sfida ora è costruire un modello ibrido e sostenibile, che non sacrifichi né le relazioni né il benessere.