Namascè: quando la ristorazione riesce a trattenere i giovani

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È crisi nel mondo della ristorazione: stipendi bassi, turni estenuanti, contratti precari o assenti portano, secondo l’osservatorio Assolavoro Datalab, alla mancanza di più di 340.000 operatori del settore. Sempre più “cercasi personale” sulle vetrine di ristoranti e cafè, sempre meno giovani interessati al settore.

Ma in un bar non lontano da porta Romana a Milano la musica è un’altra: “Namascè” è un locale di quartiere amato dai clienti e, quasi inaspettatamente, dai dipendenti, sinceramente entusiasti di lavorarci. Il suo nome in pugliese significa “andiamo”, un invito ad entrare in questa realtà che ha saputo davvero attrarre e trattenere i suoi giovani camerieri e baristi: i proprietari, Ludovica e Angelo, 31 e 38 anni, si innamorano, si sposano e aprono nel 2023 la loro attività, decisi a renderla un luogo che potesse davvero essere sinonimo di casa per chi l’attraversasse. 

Infatti, dopo anni di lavoro alle dipendenze di altri, decidono di mettersi in gioco, consci di quali aspetti costruiscono un locale e di quali atteggiamenti lo rendono invece un posto da cui fuggire. La loro esperienza pregressa permette ai due di empatizzare e capire davvero i propri collaboratori, riconoscendosi in loro: così intrattengono con loro un dialogo costante, aperto e sincero ed evitano che prepotenze e angherie di cui sono stati oggetto o testimoni si ripetano nel loro locale. 

<<Il nostro obiettivo è quello di far trovare ai nostri dipendenti l’ambiente che noi avremmo voluto quando abbiamo iniziato a lavorare: è l’unica strada perseguibile per non fare male a nessuno>> dice Ludovica convinta. <<In questo modo si crea un circolo virtuoso: se chi lavora è felice e sta bene si nota, e si lavora meglio. Se, al contrario, è infelice e insoddisfatto diventa una situazione controproducente, soprattutto perché avendo a che fare con clientela abituale il nostro obiettivo è quello di creare un clima familiare perché chi passa da Namascè si possa sentire a casa>> aggiunge subito Angelo. Concordano su un aspetto: la consapevolezza che sono le persone a muovere qualsiasi attività, non solo nel mondo della ristorazione, e che è solo con la cura reciproca che l’impresa può fiorire. 

Da qui nasce il desiderio che chi lavora da Namascè lo scelga consapevolmente e con gioia come luogo in cui spendere (e non passare!) le proprie giornate, facendo in modo che sia tempo di qualità per entrambe le parti.

Di contro, la richiesta che muovono ai propri dipendenti è quella di sposare davvero il progetto: non lavorare per portare a casa la paghetta, ma dare un po’ di sé stessi per costruire qualcosa insieme, all’insegna di uno sforzo reciproco e bilaterale che unisce e costruisce.

A cogliere i frutti di questo impegno sono i dipendenti. Caterina, cameriera ventunenne, definisce Namascè come una seconda casa: << Quello che rende il locale unico è il rapporto speciale che si è creato tra chi ci lavora, il cui collante è l’assoluta gentilezza e disponibilità di Ludovica e Angelo: è raro, soprattutto in una città come Milano, trovare un luogo che dia ancora valore alle persone, dedicando loro attenzione, prendendosene cura, ascoltandole.>>. Giovanni, barman di 23 anni, conferma che l’attenzione dei proprietari alla ricerca della soluzione perfetta per ciascuno: <<Il locale rimane vivo e si evolve in continuazione con eventi nuovi, la squadra è unita e sembra veramente di stare in famiglia mentre si lavora, senza mai rinunciare alla professionalità, nostra parola d’ordine. Ludovica e Angelo sono davvero stati in grado di imparare dalla loro esperienza di dipendenti, creando un piccolo universo che coccola tutti, clienti e lavoratori>>. 

Ludovica e Angelo consigliano quindi i colleghi imprenditori: <<Fate quello che vorreste sia fatto a voi, per essere più corretti e per ripagare chi lavora con voi e per voi>>. 

Empatia, comprensione, cura: questo è il vero punto di svolta nella ristorazione, l’unico modo per trattenere giovani (e meno giovani) e vederli lavorare contenti.

Chiara Occioni

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